IL «LABBO'». La fucina creativa di Franco Brunetta

Un tessuto materico, dinamico, brillante, vibrante emerge dalle sue opere, la cui fucina creativa, nella natia San Maurizio, si nutre delle esperienze maturate in decenni di attività di sperimentazione e di pratica ar­tistica, arrivando ad una sintesi originale, in cui Dada e Pop sposano la logica Postmoderna e Postindustriale. 

Affascinato, in particolare, dal mondo della materia plastica, simbolo controverso della nostra quotidiani­tà, Brunetta realizza, attraverso complessi processi di mediazione, opere d’arte contemporanea assolu­tamente originali e di straordinaria eleganza, come i vivaci assemblages materici che rimandano alle opere calligrafiche di Mark Tobey oppure le sinuose e baroc­cheggianti composizioni di onde e spirali. 

 

In questo moderno e variegato materiale ha trovato un personale stile espressivo.

 

Come per Pollock il dripping, per Mirò i segni, i tagli per Fontana e gli arazzini cromatici per Boetti, i riccioli di plastica, gli intrecci materici da fusione, i soffici feltri, le gemme multicolore sono, al momento, i suoi marchi di fabbrica.

 

A dominare tali opere non è il principio casuale, né l’immediatezza del gesto, ma un’attenta considerazio­ne dei materiali in una raffinata chiave estetica. Una colta ed allenata sensibilità artistica interviene in ogni atto creativo, sia questo la semplice giustapposizione di due elementi o l’intervento plastico che trasforma la trita materia quotidiana in qualcosa di diverso.

 

L’artista individua e sfrutta, infatti, materiali offerti dalla nostra società, li smonta letteralmente, li seleziona, li valuta, li trasforma fisicamente, quasi una metafora della conoscenza.

 

Infine, li assembla, incollandoli, fondendoli, intreccian­doli, fino a creare opere materiche, che sollevano il dubbio: quadri o oggetti?

 

Infatti, la percezione di forma, toni di colore, volume muta rapidamente e si trasforma a seconda del punto di vista da cui le si guarda.

 

Sono effetti visivi che incuriosiscono e, come fanno i bambini, questi lavori li si vorrebbe toccare per capirne l’origine, per cogliere la magia che li ha generati.

 

Brunetta conserva, infatti, uno sguardo divertito su di una realtà fatta non di scarti, di materiali plastici resi­duali, di strumenti e supporti ormai incapaci di pro­durre senso, ma di oggetti in senso assoluto, che cominciano a prendere vita una volta respintone l’uso comune.

 

Scorie dell’attività artistica tradizionale danno ironica­mente il loro frutto migliore quando perdono la loro na­turale funzione e vengono sottoposte ad una riflessio­ne destrutturante ed a una manipolazione che coglie sapientemente le potenzialità di ogni materiale.

 

“Questi risultati - afferma l’artista - li ho raggiunti con­tinuamente sollecitato dalla mediatezza dell’agire in si­tuazione di ricerca.

 

Così facendo il campo d’osservazione si allarga e, guardando oltre, scopro che esistono alternative al già noto.

 

In tal senso penso che questi materiali offrano poten­ziali possibilità di ulteriori creazioni di forme/oggetti nuovi”.

 

Franco Brunetta, con la complicità della sua Rory, espone al LABBO’, il luminoso laboratorio-galleria, al civico 6 di via Lodovico Bò a San Maurizio Canavese.

 

In questo spazio di libertà e di cultura - sede operativa anche de “La Bottega delle Nuove Forme” - Brunetta mette in mostra il frutto di un pensiero creativo senza vincoli, come si addice ad un artista/persona che vive intensamente la contemporaneità con le sue inquietu­dini, ben rappresentate dall’istallazione delle “7 vakke magre (mini)” simbolo della crisi economico-sociale, oppure il dramma dei migranti con “La barchetta”; senza dimenticare la terrificante lezione di un passato i cui fantasmi ogni tanto ricompaiono minacciosi: “Au­schwitz (in memoria)”.

 

Brunetta costruisce questo suo mondo fantastico, dove “l’Arte non perde mai!”, per rivendicare il valore umano della bellezza che genera speranza.

 

Al LABBO’ prevale, con felice ironia, l’allegrezza della magia immaginativa, che permette, ad esempio, di in­dossare una “Ortensia”.

 

Così la ritmica colorata delle cartucce esauste di pen­narello diventa “La parure di Barbie”, l’incalzante vol­teggio dei riccioli sostiene “La torre di Rosaspina”, la miriade di nodi di plastiche variopinte fuse sostituisce tratti e campiture classiche, raggiungendo, nell’acco­starsi ed alternarsi, una notevole ed inaspettata forza espressiva.

 

“Supercalifragilistichespiralidoso su lilla”, “La casa di Arlecchino”, “Disequilibrio”, “Bella di notte”, “Rokokò”, “Shanghai”: quando la ricerca degli accordi cromati­ci e delle armonie geometriche trova il suo equilibrio ideale, è l’opera stessa a suggerire il proprio nome, secondo la logica dell’”object trouvé” o sull’onda di un motto di spirito, di un suggerimento balenato improv­visamente alla mente in un interludio familiare tra le “fa­tiche” dell’arte.

 

Il gioco termina, però, misurando la distanza che vi è tra tanta consapevolezza e la pretesa fanciullezza delle opere, che ci ricordano, proprio a partire dal­la provocazione della loro gioiosa vivacità, la perdita della dimensione infantile e l’impoverimento culturale dell’essere umano.

 

Giulia Venuti, 

Storico dell’Arte

Direttrice del Museo “Officina della Scrittura”